Api in via di estinzione, scioglimento dei ghiacciai e orsi polari. Koala “funzionalmente estinti” e deforestamento incessante. Biodiversità a rischio: chiunque ne ha sentito parlare almeno una volta negli ultimi 10 anni. 

Ma qual è il ruolo della tecnologia in questo scenario?

Le tecnologie hanno portato innegabili vantaggi, sconvolgendo lo stile di vita delle persone. Banalmente, il solo possedere uno smartphone o un pc e far parte del villaggio globale (per dirla nei termini di Mc Luhan) è una rivoluzione non da poco. Le nuove tecnologie hanno portato benefici anche in termini di accessibilità: negli ultimi anni sono state messe a punto diverse tecnologie volte a favorire la didattica inclusiva di bambini con BES o DSA; oppure si pensi ai recenti studi sulle auto a guida autonoma che consentirebbero alle persone con disabilità di spostarsi liberamente. 

Ma, in termini ambientali, le tecnologie della vita quotidiana sono sostenibili?  

Immaginare gli impatti causati della prima e seconda rivoluzione industriale è relativamente più semplice. Tuttavia, ciò non vuol dire che la terza rivoluzione industriale (fino ad arrivare alla più recente quarta), legata quindi alle tecnologie sia analogiche che digitali, sia meno dannosa: le conseguenze sono solo meno evidenti. I device che tutti i giorni vengono utilizzati da milioni di persone (pc, smartphone, smart tv, dispositivi audio, ecc) sfruttano una grande quantità di energia e sono spesso prodotti con materiali ben poco sostenibili, difficilmente riciclabili o smaltiti nel modo scorretto, come spesso accade per le batterie a litio degli smartphone o dei pc. Anche il processo di produzione massiccia di tecnologie di uso quotidiano, per competere con le proposte di mercato che offre dispositivi sempre più aggiornati e “alla moda”, comporta una notevole fonte di sfruttamento di risorse naturali e conseguente immissione di smog e inquinanti nell’atmosfera. 


Un altro aspetto riguarda la sfera internet, o meglio tutto ciò che viene trasmesso in formato digitale (esattamente come questo articolo). Le piattaforme digitali, che apparentemente non hanno ripercussioni ambientali, comportano invece un enorme dispendio di energia reale per il funzionamento dei server e dei data center. Nonostante gli sforzi e i grandi passi avanti nella ricerca di alternative ecosostenibile, la tecnologia -e Internet- inquina e finché non si troverà una valida alternativa attingendo dalle energie rinnovabile, è un problema da non sottovalutare. 


Biodiversità e specie animali a rischio

Si sente sempre più parlare di biodiversità, impatti ecologici e specie animali a rischio. Ma il problema è tutt’altro che recente: si stima che dal 1900 in poi le specie autoctone terrestri siano diminuite di almeno il 20%, e che solo negli ultimi 20 anni quasi 150 razze di bestiame si siano estinte. Questi numeri sono tristemente sconvolgenti, ma l’argomento è così vasto e impalpabile che difficilmente ci si rende conto di ciò che realmente sta accadendo. 

Per comprendere a pieno il problema, è opportuno fare un passo indietro e tornare al concetto di biodiversità, parola forse abusata e bistrattata dalle mode dell’epoca attuale. Il termine è relativamente recente: è stato utilizzato per la prima volta nel 1968 dall’ecologo Raymond Dasmann, ma solo nel 1988 è diventato di uso comune grazie alla raccolta di saggi dal titolo -appunto- “Biodiversity” del biologo evoluzionista americano Edward Osborne Wilson, vincitore di due premi Pulitzer per la saggistica e venuto a mancare nello scorso dicembre. 

Il concetto di diversità biologica comprende diverse sfumature, e il suo significato è ben più ampio di quello “agricolo”, oggi così tanto discusso. La definizione internazionalmente riconosciuta è quella proposta dalla Convention on Biological Diversity di Rio de Janeiro del 1992, ovvero: 

Biological diversity” means the variability among living organisms from all sources including, inter alia, terrestrial, marine and other aquatic ecosystems and the ecological complexes of which they are part: this includes diversity within species, between species and of ecosystems.”

Per biodiversità si intende quindi la variabilità di qualsiasi organismo vivente nelle loro diverse forme, inclusi gli ecosistemi terrestri, marini e acquatici. Organismi viventi ed ecosistemi, sono fortemente interconnessi fra loro e sono indispensabili l’uno all’altro, creando una rete -la rete della vita- indispensabile per il mantenimento dell’equilibrio della natura. 

È chiaro quindi che danneggiare la biodiversità significa rompere questo equilibrio naturale, di cui anche l’uomo -cosa che troppo spesso si dimentica- fa parte. 


Cause e rischi della perdita della biodiversità e dell’estinzione degli animali

Le attività umane hanno ormai e irrimediabilmente modificato tutti i domini esistenti del pianeta. Così facendo, l’uomo ha sfavorito la maggior parte delle altre specie viventi e indirettamente sta danneggiando anche la stessa specie umana. 

L’ISPRA ha cercando di elencare le principali cause della perdita della biodiversità su scala globale:

  • Distruzione e degradazione degli habitat, causate sia dalle calamità naturali che dai cambiamenti operati dall’uomo, come la distruzione della foresta tropicale per favorire coltivazioni di soia, canna da zucchero o olio di palma;
  • Disfacimento delle aree selvatiche a causa della prelevazione di piante destinate alle industrie farmaceutiche o cosmetiche;
  • Distruzione degli habitat naturali per la costruzione di industrie, aeroporti e zone urbane;
  • Cambianti climatici a causa dell’aumento di emissioni CO2, con conseguenze significative sulla distribuzione delle specie animali e sui mutamenti dei cicli biologici;
  • Alterazione dei suoli a causa dell’impiego di insetticidi, pesticidi e diserbante;
  • Estinzione di fauna e flora autoctone a causa dell’introduzione di specie aliene invasive;
  • Degradazione degli habitat a causa di attività di bracconaggio, di caccia e di pesca eccessive e indiscriminate.

La salvaguardia degli habitat naturali è stato oggetto di dibattito durante l’ultima COP26, come macro-obiettivo da raggiungere nel prossimo decennio se non si vuol andare incontro ad una sesta estinzione di massa. Infatti, tutte le attività umane sopra elencante comportano rischi non solo nocivi per l’intero pianeta ma soprattutto irreversibili come:

  • Aumento del fenomeno di spillover, ovvero il passaggio di un virus o patogeno dagli animali all’uomo (si pensi al Covid-19);
  • Diminuzione della qualità dell’acqua potabile a causa dell’inquinamento agricolo e chimico e l’impiego di azoto in agricoltura, con conseguente trasformazione dei terreni agricoli semi-aridi e tossici;
  • Scarsità di cibo commestibile e sano nei paesi industrializzati; 
  • Estinzioni a “catena”, si pensi adesso ai koala: in via di estinzione a causa della scarsità di foreste di eucalipto -anch’esso in via di estinzione-. Alle api, responsabili del quasi 70% di impollinazione delle specie vegetali, garantendo così il 35% di produzione globale di cibo. La loro sparizione porterebbe a drammatiche conseguenze, sull’alimentazione dell’uomo e su una quantità impensabile di specie vegetali e animali con un’inevitabile ricaduta su tutta la catena alimentare. 

La lista potrebbe andare avanti ancora a lungo, ma non abbiamo più tempo. Il concetto però è chiaro: per mano di una sola specie, si sta portando al collasso l’intero mondo animale.

Ancora una volta, è fondamentale ribadire quanto la differenza la faccia il singolo anche attraverso un uso consapevole dei proprio dispositivi tecnologici, un corretto mantenimento per preservarne la lunga durata e un corretto smaltimento.


Articolo di Marzia Diodati



Fonti

cbd.int

isprambiente.gov.it

wwf.it

legambiente.it

focus.it - scienza

focus.it - ambiente

avvenire.it

greenplanner.it

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