Nel marzo 2021, è stata approvata dalla commissione Europea la prima legge che sancisce il diritto alla riparazione dei dispositivi elettronici. Tutti i produttori, dovranno adeguarsi alla normativa per garantire il “right to repair” ai consumatori. Ma non tutti i prodotti rientrano ancora nella legge.
È dal 2019 che il movimento Right to repair lavora duramente per ottenere una legge che tuteli il diritto alla riparazione. Oltre 40 organizzazioni – in più di 16 paesi UE – hanno sostenuto la campagna e finalmente qualcosa è accaduto: l’Unione Europea ha approvato, nel 2021, la prima legge sul diritto di riparazione dei prodotti elettronici di consumo. Nonostante la normativa sia ancora incompleta – e di fatto non assicura la riparazione a tanti device oggi di grande utilizzo – si tratta comunque di una grande conquista.
È un passo in più verso una prospettiva di economia circolare, inseguendo quei modelli di produzione e di uso dell’elettronica di consumo sempre più eco-friendly.
Se da una parte il mercato ci tenta con dispositivi sempre più smart e al passo con le mode – complici noi fruitori che cadiamo nel tranello pubblicitario –, dall’altra parte anche i produttori “costringono” i consumatori a cambiare elettrodomestici, device, e prodotti elettronici in genere, sempre con più frequenza. Questo, a causa della sempre maggiore diminuzione del ciclo di vita di un prodotto, che costringe il consumatore a sostituire prima il proprio smartphone, il proprio notebook o anche la propria lavatrice, frigorifero, ecc. Si tratta dell’obsolescenza programmata, una strategia industriale – tutt’altro che onesta – volta ad alimentare la domanda di quel prodotto sul mercato. Quindi produrre di più e, di conseguenza, spingere il consumatore ad acquistare più frequentemente. L’obsolescenza programmata non riguarda solo il ciclo vitale del prodotto, ma anche l’assemblaggio stesso delle componenti. A molti di noi è successo almeno una volta di sentirsi dire che un elettrodomestico o un device non è riparabile, poiché lo smontaggio/rimontaggio della componente danneggiata è troppo complesso (spesso sinonimo anche di esoso). E per cui sarebbe stato meglio acquistare direttamente un nuovo prodotto.
Nulla di nuovo: questo “trucco” è nato di pari passo con la nascita della produzione di massa negli anni ’20.
È questo il punto cardine del diritto alla riparazione: contrastare l’obsolescenza programmata e favorire la disponibilità dei pezzi di ricambio per garantire la riparazione dei prodotti elettronici. I focus della nuova legge nel dettaglio:
- Contrastare l’obsolescenza programmata: tale attività verrà considerata come “pratica commerciale sleale” e per questo vietata e sanzionata dal diritto Europeo;
- Maggiore informazione per i consumatori: verrà ampliato l’utilizzo di etichette contenenti le principali informazioni del prodotto, come: possibilità di “riparabilità”, ciclo di vita stimato, disponibilità dei pezzi di ricambio, disponibilità di aggiornamento software;
- Estensione della garanzia fino a 10 anni;
- Disponibilità dei pezzi di ricambio: i prodotti relativamente datati, spesso non possono essere riparati poiché non vi sono in commercio i pezzi di ricambio. Con questa legge, i produttori dovranno impegnarsi a garantire la disponibilità dei pezzi per almeno 7-10 anni;
- Istruzioni riparazione: per incentivare la riparazione, non solo da parte dei professionisti, ma anche degli “amatoriali” o amanti del DIY, i produttori saranno obbligati a fornire i manuali di istruzione dei dispositivi.
Un punto di inizio, ma che necessita ancora di alcuni aggiustamenti.
Criticità e dispositivi attualmente esclusi
Contrastare l’obsolescenza programmata è sinonimo di riduzione degli impatti ambientali causati dall’industria elettronica. Si intenda: è poi compito del consumatore valutare con consapevolezza il momento in cui ha davvero necessità di sostituire un prodotto elettronico.
La legge sul diritto alla riparazione è indubbiamente una grande conquista ma non è ancora perfetta; i limiti sono molti, sia di carattere teorico che pragmatico. La più grande criticità è l’esclusione – almeno al momento – di alcuni ICT di largo consumo, ovvero: smartphone e notebook. Mentre alcuni dei dispositivi inclusi sono:
- Lavatrici e lavasciuga;
- Frigoriferi;
- Lavastoviglie;
- Refrigeratori;
- Grandi elettrodomestici;
- Schermi (inclusi gli schermi dei televisori)
Non è difficile rendersi conto che i prodotti elettronici esclusi sono proprio quelli più espositi all’obsolescenza pianificata. Non si tratta ovviamente di una dimenticanza da parte della commissione EU, tanto meno è necessario gridare al complotto dell’industria degli ICT. Il motivo per cui cellulari e pc sono stati – temporaneamente – esclusi, è l’impossibilità di una garanzia di riparazione su questi dispositivi, poiché le componenti di cui sono costruiti sono troppo diversificate da brand a brand ma anche da modello a modello (nonostante caratteristiche tecniche simili) e quindi di difficile reperimento.
La standardizzazione delle componenti e il design dei prodotti (che dovrebbe consentire un facile smontaggio del device) sono anch’essi obiettivi perseguiti dal movimento Right to repair e dalla Commissione Europea nel nuovo piano d’azione per l’economica circolare. Se tutti i dispositivi fossero costruiti con componenti uguali sarebbe più semplice riparare e sostituire i singoli pezzi danneggiati, per la maggiore produzione – e quindi disponibilità sul mercato – di queste, come è avvenuto negli anni passati per quanto riguarda i caricabatterie degli smartphone.
Un’altra criticità riguarda i lunghi tempi di riparazione: la vita moderna è frenetica ed è difficile immaginarsi di restare senza frigorifero o lavatrice per 15 o 20 giorni. Questo fatto porta in luce un ulteriore problema: la mancanza di “riparatori”. La figura del riparatore professionista è ancora poco chiara e mal inquadrata, mentre abbondano i tecnici per computer (anche autodidatti) nel mercato, però, privato.
Insomma: per godere di una legge davvero organica che tuteli il diritto alla riparazione in tutti i suoi aspetti, ci vorrà ancora un po’ di tempo, ma la strada intrapresa sembra quella giusta.
Cosa fare nell’attesa? Seppur i produttori cerchino di spingerci a comprare, comprare e ancora comprare, la responsabilità nell’utilizzo di grandi e piccoli elettrodomestici, device e ICT di vario genere, è sempre di noi consumatori. È sempre bene quindi prendersi cura dei propri dispositivi per farli durare e performare più a lungo nel tempo.
Articolo di Marzia Diodati
Fonti
Share:
Quando la tecnologia sporca il mare
Ricarica wireless: meglio evitarla per l’ambiente?
1 commentaire
Giuste considerazioni . Ottimo articolo