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È possibile ridurre l’impatto delle emissioni di CO2 anche senza stravolgere il proprio stile di vita hi-tech e sempre connesso? Grazie a qualche piccola accortezza, sì: si può inquinare di meno, anche se non si è attivisti alla Greta Thunberg.

 

Quando si pensa all’inquinamento ambientale, alle emissioni di CO2 e ai danni causati dai cambiamenti climatici, si crede che queste problematiche non riguardino direttamente noi cittadini comuni. Si pensa di non esserne responsabili, e per questo si crede che non siano problemi che vadano risolti da noi: piuttosto è compito dei Governi occuparsene, attraverso strategie che operino a livello nazionale e globale. 

 

“Cosa c’entro, io, con le pratiche estremamente inquinanti di estrazione di litio o altri minerali? Che posso farci se le industrie inquinano così tanto? Sono un signor nessuno. Semplice cittadino.”

 

Se per certi versi è vero che è compito di chi ha le competenze e l’autorità sviluppare strategie e definire obiettivi per uno sviluppo sostenibile, non è altrettanto corretto credere di non essere complici della situazione ambientale attuale. 

Se si ha la convinzione che cambiare il proprio dispositivo anziché ripararlo – “La compagnia X mi ha proposto un’offerta irresistibile: l’ultimo modello super alla moda di Y, in 30 comode rate! Il vecchio cellulare ha ormai 2 anni, ripararlo mi costerebbe un po’…” – sia una buona idea in termini economici; che la carica del nostro ultimo smartphone – “è un dispositivo così piccolo, quanto inquinerà? Quanta energia vuoi che consumi?” – non sia un problema; e che non smaltire correttamente il nostro vecchio modello non comporti gravi conseguenze – “è solo un cellulare, che sarà mai se lo getto nell’indifferenziato, per questa volta!” – si sta commettendo un grande errore di valutazione. 

 

In questo momento, altri milioni e milioni di persone stanno pensando la stessa identica cosa. Commettendo così lo stesso errore. Contribuendo, con piccoli gesti apparentemente innocui, ad incrementare l’aumento dell’emissione di CO2. Un aumento esponenziale causato dai dispositivi elettronici, a cui stiamo assistendo per la prima volta nella storia. 

 

Emissioni CO2 degli smartphone

Secondo uno studio condotto dall’European Environmental Bureau del 2019, l’intero ciclo di vita degli smartphone in Europa (compreso il processo di produzione e distribuzione) è responsabile di 14 milioni di tonnellate di emissione di biossido di carbonio. Se questo dato non sembra impressionante, si pensi che la carbon footprint dell’intera Lettonia, in un anno, è nettamente inferiore a questa cifra (considerati tutti i settori, non solo quello degli ICT), a fronte dei 33 miliardi di tonnellate che l’interno Mondo genera nello stesso lasso di tempo. La cifra è destinata a salire: si stima che l’emissione di sostanze nocive provenienti dalle industrie del settore tecnologico, triplicherà entro il 2040. Ciò a causa della crescente domestication (Silverstone et al., 1992) delle ICT e della diminuzione – e qui diremo: fortunatamente (sic!) – del digital divide.   

Considerato l’uso che oggigiorno facciamo dei nostri smartphone, non è un numero affatto male, vero?

Ad inquinare, sono i data center e i server che ci consentono di essere connessi sul Web: si pensi a quanti dati vengono consumati giornalmente da milioni di persone per l’utilizzo di app di messaggistica istantanea e non, per la visione di video e per l’ascolto di musica o il semplice controllo dei post sui social media. Ma quello che grava particolarmente sul bilancio delle emissioni di CO2 è il processo di produzione degli smartphone e, in seguito, il non riciclaggio. 

Per costruire un solo cellulare, sono necessari decine di metalli e materiali diversi. I principali materiali utilizzati sono ferro (11mg circa) e plastica (95mg) per la scocca; litio, cobalto (3 g circa) e carbonio per la batteria; oro (24mg), palladio (9 mg) e rame (9 g) per la scheda elettronica e i circuiti integrati. La funzionalità dello schermo touchscreen e i colori vividi sono garantiti invece dall’utilizzo di stagno, indio e terre rare (1g). Arsenico, fosforo e gallio per la tensione. Si tratta di pochi grammi per materiale, ma i metodi con cui questi vengono estratti sono estremamente invasivi e dannosi.

Molti di questi componenti sono infatti di difficile estrazione, e la separazione avviene spesso con tecniche costose e usurpanti associate a minerali radioattivi (come l’uranio), i cui processi generano grandi cariche radioattive. La maggior parte di questi viene inoltre estratta nel continente africano e nella Cina, spesso senza alcun controllo o regola, sia in termini di forza lavoro che di impianti e tecniche utilizzate; violando non solo i diritti umani dei lavoratori coinvolti, ma generando anche gravi problemi in termini ambientali. 

 

Altro problema è il sempre più frequente cambio del modello di smartphone e il riciclaggio di quello precedente o meglio: il non riciclaggio. La pratica di non riparare ed optare per il cambio del dispositivo, complici gli alti prezzi di riparazione e la disponibilità sempre maggiore di cellulari a buon mercato, è quasi la norma. Inoltre, pensando che un apparecchio così piccolo come questo non comporti un grave danno ambientale, sempre meno persone si occupano dello smaltimento del precedente smartphone. Al 2021, solo il 15% di questi è stato riciclato, nonostante più del 90% dei materiali di cui sono composti siano riutilizzabili. Quasi la metà invece, è finita nelle discariche o semplicemente nel dimenticatoio della memoria, abbandonata in uno dei cassetti delle “cianfrusaglie” che tutti abbiamo nelle nostre case. 

Il danno è sia economico che ambientale: se tutti i dispostivi venduti nel Mondo in un anno, ad oggi più di 1 miliardo, venissero riciclati, il valore economico dei materiali ricavati sarebbe di oltre 8 milioni. E per ogni dispositivo riciclato correttamente, si eviterebbe lo 0.8 KG di emissioni di CO2 e il risparmio di circa 1 Kwh di energia.

A te che leggi questo articolo lascio trarre le conclusioni… 

 

Ridurre l’impatto di CO2 dei nostri smartphone

La scienza non chiede di fare a meno della tecnologia che, anzi, ha portato significative migliorie in molti aspetti della nostra vita.

Ma allora che bisogna fare? Non inquinare ma continuare comunque ad utilizzare gli smartphone. Questa “scienza” vuole la botte piena e la moglie ubriaca!”

Non si chiede di rinunciare a qualcosa, ma di fare un uso consapevole e proporzionato alle proprie esigenze. Di diventare consumatori lucidi e obiettivi e non lasciarsi ingannare dalle seducenti offerte che ogni giorno cercano di trascinare noi, il nostro portafogli e, ancor più importante, il futuro del nostro pianeta nel vortice del consumismo. Non se ne vuol fare una questione sociologica, ma bisogna essere consapevoli di quanto ogni giorno il mercato ci tenti a far scelte non necessarie e poco ecosostenibili

 

Ho davvero bisogno di cambiare smartphone? Non sarebbe meglio ripararlo?”

Al posto di: “Qual è l’ultimo modello uscito?”  potrebbe far la differenza. 

 

Secondo gli esperti, aumentare la durata del proprio cellulare anche di un solo anno in più, farebbe risparmiare oltre 4 milioni di tonnellate di emissione di CO2: equivalente al togliere dalle strade tutte le macchine della Danimarca. 

A volte però è davvero necessario cambiare il proprio dispositivo prematuramente, poiché la riparazione sarebbe davvero troppo costosa o impossibile a causa dell’irreperibilità dei singoli componenti da sostituire. Secondo gli studi condotti dal movimento europeo Right to Repair, la percentuale di dispositivi difettosi sostituiti prima della durata stimata è aumentata del 3% circa dal 2004 al 2012.

È per questo motivo che a marzo 2021, è stata approvata dal parlamento Europeo la prima legge sul diritto alla riparazione. Lo scopo è proprio quello di contrastare le pratiche di obsolescenza pianificata – che saranno considerate “pratiche commerciali sleali” e, pertanto, vietate dal diritto Europeo – e garantire al consumatore il diritto alla riparazione grazie ad un’estensione della garanzia sui prodotti. 

 

Guarda il video per approfondire 

 

Se questo è già un grande traguardo, con piccoli accorgimenti quotidiani si può ancora di più ridurre la carbon footprint del proprio dispositivo. Vediamo come (e perché):

 

  • Spegnere la connessione dati/wi-fi quando non si sta utilizzando lo smartphone: alcune app continuano ad eseguire azioni anche quando non si sta utilizzando attivamente il dispositivo (letteralmente: esecuzione in background).
  • Prendersi cura della batteria del dispositivo per farlo durare più a lungo (non basta attivare la Optimized Charging dalle impostazioni): ci sono tanti piccoli accorgimenti, ma per ottimizzare al meglio la durata si può utilizzare il plug-in di Witty. Poco invasivo e eco-friendly, può aumentare la durata della batteria da 1 a 4 anni rispetto alle normali prestazioni.
  • Aggiornare invece di sostituire: quasi tutti i sistemi operativi degli ultimi anni supportano i più recenti aggiornamenti, grazie anche al sopra citato diritto di riparazione. Non è necessario sostituire il cellulare per garantirsi migliori prestazioni del device. La sostituzione (a meno che il dispositivo non sia realmente usurato) oggi costituisce un fatto più estetico e legato alle mode che di utilizzo: il nuovo modello con telecamera in 4K può far gola, ma è davvero necessario?
  • Utilizzo consapevole e lucide scelte di acquisto: si lascia qui il solito invito: che tutti i singoli si prendano la responsabilità di fare quel di più. Quei singoli, che possono diventare collettivo. E fare, a quel punto, davvero la differenza

 

Articolo di Marzia Diodati



Fonti

eeb.org

corriere.it 

repair.eu 

europarl.europa.eu 

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